Fino a ieri pomeriggio non avevamo idea di scrivere quest’articolo, poi è successo che ieri sera siamo andati a mangiare in un posto che con la sua cucina ci ha raccontato una storia, la storia di una pasta straordinaria che in tutto il mondo è un vanto per i romani, la storia della cacio e pepe. E per questo ci ha fatto venire voglia di raccontarla anche a voi.
A Roma, si sa, la pasta è una religione. La cucina romana è incentrata sui primi, precisamente sui primi poveri: carbonara, amatriciana, gricia e cacio e pepe. Ma nessuno di questi incarna la vera essenza romana come fa la cacio e pepe. Pasta, pepe e pecorino. Nulla di più semplice, anche se farla buona riesce a pochissimi.
La cacio e pepe a Roma è un’istituzione, è come il Colosseo, Lungotevere, una poesia di Trilussa. Racchiude tutta l’anima popolare di Roma, una città eterna e maestosa ma che non dimentica le umili origini dei suoi rioni e la sincerità delle sue borgate.
Ma come è nata la cacio e pepe? Chi è il genio che si è inventato questa ricetta pazzesca con due ingredienti così semplici?
La storia di questo piatto simbolo della romanità nasce tra i pascoli durante la transumanza. All’epoca i pastori dell’agro romano facevano lunghi spostamenti del gregge, durante il viaggio riempivano la bisaccia di alimenti calorici e a lunga conservazione. Nelle bisacce c’erano immancabili i pomodori secchi e il guanciale, in mezzo però trovavano spazio anche il pecorino, il pepe nero in grani e gli spaghetti essiccati preparati a mano con acqua, sale e farina.
Proprio questi 3 ingredienti venivano scelti per dei motivi precisi. Il pepe nero stimola i recettori del calore, aiutava perciò i pastori a respingere il freddo. Il pecorino stagionato veniva scelto perché, data la sua lunghissima conservazione, era una cosa che non mancava mai, la pasta invece dava le giuste calorie e i giusti carboidrati.
Negli anni la tradizione si diffuse in tutta la campagna laziale fino ai monti abruzzesi e umbri. Il passo da pasto a piatto fu molto rapido. Da semplice pasto frugale e improvvisato, la cacio e pepe è diventata un piatto tipico delle osterie romane. Nei primi ristoranti in cui veniva servita, gli osti di allora servivano una cacio e pepe secca per dare una mano al portafoglio. La pasta doveva “allappare” per far ordinare ai clienti più vino.
Come tutto a Roma, anche la Cacio e pepe vive di discussioni e diverse interpretazioni. Rigatoni, tonnarelli, mezze maniche, anzi no spaghetti. C’è chi cerca a tutti i costi di avvicinarsi all’originale e chi invece la rivisita dichiaratamente. Tutti però vi diranno che la loro è la “mejo cacio e pepe de Roma”.
Nonostante i litigi, dopo secoli la cacio e pepe è ancora un piatto apprezzatissimo e conosciuto in tutto il mondo, perfino ad Hong Kong c’è un ristorante amatissimo dai cittadini che è specializzato in cacio e pepe. Anche a Roma la tradizione persiste fortissima, tra chi cerca l’originalità e chi si attiene alla tradizione. I posti in cui vale la pena di mangiarla però sono pochi.
Uno di questi è sicuramente quello in cui siamo andati ieri sera, la Trattoria dei Primi, in via Portuense 88. Un posto aperto da poco dietro Trastevere che serve 11 tipi diversi di cacio e pepe. Per quello ti racconta la storia, ti fa fare un viaggio nella storia del piatto, facendoti assaggiare dalla cacio e pepe classica a quella col tartufo, da quella con l’aggiunta di guanciale alla versione con i fiori di zucca. E il tutto (naturalmente, sennò non l’avremmo apprezzato) a prezzi popolari come la vera tradizione dei primi romani. Una degustazione che da la vera idea di quello che è stata la cacio e pepe per Roma: un vero e proprio culto.