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Roma

Acqua all’arsenico, le vere notizie shock ancora non si sanno

Di Marcello Rubini – Se pensate che la storia dell’acqua all’arsenico sia finita qua e che tutto sia già sistemato, vi sbagliate di grosso. Non solo la soluzione pratica arriverà alla fine dell’anno (forse), e non soltanto non hanno ancora trovato i responsabili, ma è molto probabile che ci siano altre zone di Roma (e del Lazio) dove l’acqua non è potabile perché avvelenata. Dichiara infatti il presidente dell’Ordine dei Geologi del Lazio, Roberto Troncarelli: “Purtroppo i valori di arsenico riscontrati a Roma Nord non ci sorprendono. Molti acquedotti della zona incriminata presentano anche problematiche legate alla presenza di radon. C’è poco da fare: siamo di fronte all’ennesimo esempio di cattiva amministrazione”.

“Quanto accaduto a nord della Capitale – aggiunge – è solo la punta dell’iceberg di una situazione critica, che denunciamo da anni. Quello dell’arsenico infatti è un problema con cui ci si confronta da decenni eppure gli amministratori pubblici hanno sempre mostrato la deprimente tendenza a sottovalutare le questioni ambientali. Tendenza che assume connotazioni pericolose quando, come in questo caso, investe aspetti afferenti la salute pubblica e la sicurezza dei cittadini”.

A quanto pare nella nostra regione molte aree presentano concentrazioni di arsenico superiori a 10 microgrammi/litro, valore massimo che devono avere le acque per poter essere destinate al consumo umano.

Non si tratterebbe però di un problema legato all’azione umana ma dall’attività vulcanica, infatti le zone più interessate sono quelle del Sabatino, Vulsino, Vicano, Cimino e Colli Albani. Sarebbe quindi la “naturale “contaminazione che subiscono le acque attraversando i terreni vulcanici”. Attenzione però perché si tratta comunque di “valori che hanno classificato tali acque fuorilegge, in quanto le soglie di accettabilità, definite da alcune direttive europee, sono abbondantemente superate dai valori delle acque prodotte da acquiferi vulcanici”.

I geologi non soltanto forniscono i dettagli di un problema che potrebbe essere ancora più esteso, ma non capiscono come non sia stato dato l’allarme dalle istituzione locali. Dichiarano: “Eppure tutto questo agli amministratori non è mai interessato. Mentre le nazioni più virtuose si sono organizzate mettendo in campo programmi strutturali a lungo termine, investendo sulla qualità dell’acque attraverso impianti di trattamento e abbattimento di elementi nocivi, sulla questione arsenico l’Italia si è dimostrata miope: anziché puntare sulla prevenzione, su infrastrutture e su ricerca, si è pensato bene di chiedere deroghe alla Comunità Europea”.

Quindi: “Veramente un pessimo esempio di gestione amministrativa. È molto grave infatti che lo Stato, in tutte le sue ramificazioni, non abbia acceso un “warming” sulla salute della cittadinanza”.

I geologi, capeggiati da Troncarelli, affondano il colpo e fanno anche la morale ai politici che rimangono in silenzio e i primi cittadini superficiali: “I sindaci, i primi ad essere investiti da fenomeni igienico-sanitari locali, spesse volte lamentano casse comunali vuote salvo poi non farsi mancare risorse per la festa del santo patrono o i giochi pirotecnici di ferragosto o iniziative senza alcuna valore sociale”.

E’ bene anche fare delle precisazioni. Prima di tutto nel Lazio ci sono zone dove la presenza dell’arsenico nell’acqua è ormai una presenza costante nella vita dei cittadini. In questo caso io mi riferisco specialmente agli abitanti delle zone di Viterbo, il caso più eclatante di tutti (ma nel Lazio ci sono tantissimi altri casi). Il secondo punto riguarda il colpevole di tutto ciò. Il nome potrebbe saltare fuori, o per qualche oscura ragione potrebbe rimanere segreto. Io consiglierei a l’On Gasparri di non farsi pubblicità con le interrogazioni parlamentari su questo argomento. Magari una sua collega di partito potrebbe essere immersa nella vicenda.

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