“Ho passato i sessanta ma mi sento un ragazzino. Il mio epitaffio sarà: qui giace Giorgio Faletti, morto a diciassette anni. Ho tanta energia e voglia di mettermi in gioco. Non ho paura di rischiare”. A parlare, tra le nebbie autunnali della natia Asti, è un globetrotter delle arti e dei media, Giorgio Faletti, splendido sessantaduenne ma non proprio un giovincello. Il quale con spirito adrenalinico da adolescente (un amore per la vita scoperto, dice, dopo essere sopravvissuto all’ictus: “Ho imparato a non rimandare nulla”), non pago di aver mietuto successi come comico, attore, cantante, pittore e soprattutto autore di romanzi bestseller, in una carriera trentennale che lo ha portato dal Monferrato a New York, si lancia nell’avventura dell’one man show. E debutta con una versione in solitaria- senza band né scenografie – del recital tratto dall’ultimo libro, “Da quando a ora”, pubblicato da Einaudi nel 2012.
Faletti, una prima nazionale in una piazza come Borgaro. Scelta insolita, non le pare?
“Non sono uno che se la tira. Vado dove mi chiamano, con la massima modestia. Rispetto tutto il pubblico. Forse solo ad Auschwitz mi rifiuterei di cantare”.
Si esibisce solo, senza band. Nudo e crudo. Perché questa voglia di raccontarsi?
“Senza orchestra lo spettacolo è meno rigido e ho più libertà di improvvisare. Faccio quello che ho sempre fatto: mi metto da solo davanti a un microfono. Questa volta anche con la chitarra. Lo spettacolo nasce dal libro e il libro dal desiderio di far ascoltare miei pezzi inediti (dodici tracce nel volume/cd, ndr). Da tempo sentivo il desiderio di tornare in teatro”.
Tornare anche alla musica?
“La musica mi ha sempre accompagnato, nel corso degli anni. Ho continuato a scrivere pezzi per altri artisti oppure canzoni che sono finite nel cassetto. Finché una sera, dopo cena, con amici tutti un po’ “allitrati”, ho tirato fuori la chitarra e le ho fatte ascoltare. Mi hanno trascinato in uno studio di registrazione e convinto a farne un disco. Attorno al disco, che ha gli arrangiamenti di Lucio Fabbri, ho costruito il libro”.
Memorie di un provinciale?
“Un’autobiografia musicale che però raccoglie storie, personaggi, momenti che ho vissuto in prima persona ma anche di cui sono stato testimone. Aneddoti quasi incredibili. Momenti a volte malinconici a volte comici, com’è la vita”.
C’è all’orizzonte qualche nuova avventura?
“In effetti sì. Esordisco come autore teatrale. Sto scrivendo uno spettacolo per una mia concittadina, Chiara Buratti . Debutterà ad Asti Teatro. Un one woman show, un musical per lei sola. Faccio tutto: canzoni, testo, regia. Sono responsabile in toto”.
Di cosa tratta?
“Non lo dico. Per scaramanzia”.
E sul fronte romanzi?
“Finito il lavoro teatrale, mi ritiro all’Elba, dove ho il mare ad ispirarmi e i gatti per giocare. E lì comincio le ricerche per il nuovo romanzo”.
E la casa a New York?
“Casa a New York… detto così sembra una cosa da fenomeno. Con quel che l’ho pagata, a Milano compravo un ascensore”.
Da piemontese, che rapporto ha con Torino?
“Sono entusiasta di Torino. Mi piace da morire. Ammiro il modo in cui ha saputo liberarsi dal colore grigio. Ci vado quando posso, a vedere spettacoli o a trovare amici, e mi riprometto ogni volta di tornarci più spesso. In questo momento, come qualità di vita, è la città d’Italia dove sceglierei di abitare se decidessi di lasciare Asti”.
Tornando al nuovo romanzo, ci può anticipare il soggetto?
“Non le ho detto quello dello spettacolo, vuole che le anticipi il contenuto del libro?”