Di Gianna Baragli – Pochi giorni fa è uscito un articolo sul Corriere della Sera, a firma di Serena Danna, in cui l’autrice si faceva portavoce di un cambiamento stilistico, e di conseguenza ideologico, che si sta manifestando nelle roccaforti del fenomeno hipster come Williamsburg, in favore di nuovo movimento chiamato “new normal”. La Danna nel suo annuncio, molto letto, condiviso (quasi 20mila share) e chiacchierato, però faceva sentire il lettore un po’ spaesato, consapevole più della cronaca degli avvistamenti di “normal guy” nelle strade di Brooklyn che di “istruzioni per l’uso” del nuovo stile.
La giornalista scriveva che “a East London o a Kreutzberg a Berlino, ormai c’è più glamour in una coda di cavallo ben portata che nella borsa vintage marrone di ecopelle contenente le bozze di un romanzo autobiografico”. E parlava di “valori e principi: la famiglia, il cibo sano ma “laico”, l’impegno politico e la fine dell’ambiguità sessuale come cifra stilistica”. Ma, alla fine, non spiegava in termini pratici come scoprire e cogliere la nuova tendenza.
Innanzitutto la nuova normalità cool non tocca solo la moda, ma si allarga anche all’arte, dal cinema alla pittura, alla politica e all’alimentazione. L’abbigliamento è senz’altro il cambiamento più tangibile e potrebbe essere riassunto così. La parola normcore (fusione di normal e hardcore) è la normalità a tutti i costi, l’esatto contrario di essere “alternativo” a tutti i costi. I normcore sono quelli vestiti con jeans non attillati (neanche larghi, normali), le magliette a girocollo, a tinta unita o con stupidi loghi o slogan sconosciuti, scarpe da ginnastica o sandali, oppure in tenuta sportiva con i pantaloni della tuta o felpe e maglioni senza troppe pretese. Un po’ alla Steve Jobs e alla Mark Zuckerberg per intenderci. Normcore sono quelli che se gli chiedi “come ti vesti?” ti rispondono “normale”. Un cambiamento che trova le sue ragioni sicuramente nella crisi, ma che è molto di più di una semplice risposta a una difficoltà economica.
Non basta vestirsi “normali” per essere normcore: “l’unica clausola che serve affinché tutta questa storia del normcore funzioni è che tu sia una persona un po’ alla moda già da prima. In caso contrario sei solo, beh, normale”. La cosa più importante è che dietro questa nuova tendenza c’è il concetto del non apparire ma essere, e non farsi valutare in base al vestito ma in base alla personalità. I normcore non vogliono attirare l’attenzione, non vogliono distinguersi, vestono modesti, con quello che trovano. Ma con la consapevolezza di vestirsi “normali”. Un taglio netto rispetto alla moda sfrenata degli ultimi anni.
Vestirsi normal vuol dire vestirti con una maglietta, una felpa con cappuccio, jeans, camicia discreta, pantaloni chino. Le marche sono Gap, Jack & Jones, Superdry, Esprit, ma anche Marc O’Polo, Woolrich e Desigual. Ah, dimenticavamo, la moda è unisex, non ci sono distinzioni tra uomo e donna. E come se chi se n’è sempre fregato della moda adesso ne viene assalito inconsapevolmente. Normcore non significa la libertà di diventare qualcuno, ma la libertà di essere con chiunque. La moda ormai è non appropiarsi del mainstream e del comune, ma semplicemente adattarsi ad ogni situazione diversa. Esulta chi di come vestirsi se n’è sempre fregato, piange chi della moda ha fatto una religione. E intanto le ragazze già hanno cambiato gusti, basta hipster, basta barbe, adesso sono finalmente libere di farsi piacere i normali.