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The Pills, sempre meglio che Checco Zalone

Di Francesco Cianfarani – “Come full time? Ma vi ho detto che la mattina non posso!”, una generazione in una frase. Se sei nato dal 1983 al 1990 esci di casa e vai a vedere il film dei The Pills adesso, è meglio di una seduta di psicanalisi. Gli altri possono aspettare, ma non troppo, perché “Sempre meglio che lavorare” (un titolo più esaustivo ma meno poetico di “Mezzogiorno meno un quarto”, quello annunciato inizialmente) è un film geniale.

Quei tre fattoni di Luca, Luigi e Matteo ce l’hanno fatta, hanno raggiunto il sogno di ogni pischello che fa un video con gli amici nel salotto di casa. “Oh, i The Pills hanno cominciato così”, e partono web series su web series. Loro invece ormai sono al cinema, prodotti da chi di talenti se ne intende, quel Valsecchi che ha sbancato con il film di Zalone, e che ha fatto bene a scommettere su queste giovani promesse con i tanti soldi fatti con “Quo vado?”.

Beh, il film dei The Pills non ha niente da invidiare al cavallo di battaglia del produttore. Anzi, la comicità delle “pillole” è molto più sincera, più intelligente, più culturale. E diciamolo, anche più divertente. L’Italia avrebbe bisogno di artisti come i The Pills, e invece si ritrova a dare i miliardi a chi parla dei soliti stereotipi. Se dovessimo forgiare uno slogan diremmo: più The Pills e meno Zalone.

Il film si basa su un assunto: “I trentenni non c’hanno voglia di fare un cazzo”, frase quanto mai vera per mille ragioni, dall’impostazione generazionale alla situazione macroeconomica. E i The Pills hanno raccontato una generazione meglio di chiunque altro, il film è illuminante, sembra studiato da anni. Un lungometraggio che tutti i trentenni vedranno per generazioni, fatto da trentenni per trentenni, solo i The Pills potevano farlo. Il Dio del cinema esiste, gliel’ha messo in mano e loro non hanno fallito.

In un mondo che va per stereotipi banali i The Pills hanno raccontato le situazioni di tutti i giorni con un’originalità rara da raggiungere, e soprattutto senza il buonismo dilagante nel nostro paese. I The Pills dipingono una generazione intera di nati nella seconda metà degli anni ’80. Quelli nati nella bambagia e cresciuti nella degenerazione. Quelli viziati da sempre da una generazione agiata e cresciuti con la crisi arrivata puntuale per l’inizio della loro vita professionale.

Una generazione mammona e fanfarona, ma intelligente, simpatica e soprattutto autoironica. Luca, Luigi e Matteo hanno definito questa generazione. Un grande numero di trentenni quando farà vedere ai figli come viveva la giovinezza, gli farà vedere il film dei The Pills. Il pezzo in cui Giulia, la ragazza “lavoratrice” interpretata magistralmente dalla splendida Margherita Vicario, racconta il pezzo preferito di “Un giorno in pretura”: quando il carabiniere sviene guardando una vittima di Pacciani, il mostro di Firenze. Il pezzo preferito di TUTTI i trentenni.

Il film dei The Pills è il simbolo di una generazione che vuole rinascere, che non ci sta a dover soccombere ai meccanismi di una società che non gli piace. Che si arrangia, e che tramite questo film acquista personalità. E poi i bangla, gli eterni compagni di serate dei pischelli romani, il papà di Matteo che impazzisce e si iscrive a Instagram, la crisi di mezza età di Luigi, l’amore maledetto di Luca. La cosa più bella è proprio questa, che i The Pills ci parlano come se fossero nostri amici, mostrando tutte le loro debolezze e le loro paure, e allora complimenti amici, perché avete fatto un gran film.

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