Il bar Panamino di via Panama, nel quartiere Parioli, con tutte le sue estensioni in vetro e ferro e i suoi manufatti abusivi va demolito. E le spese della lite in cui le società che gestiscono il bar — Eolie srl e Panamino Srl — hanno trascinato Roma Capitale, dovranno essere risarcite al comune nella misura di tremila euro.
Il Consiglio di Stato ha così due giorni fa, con questa sentenza, chiuso un contenzioso che andava avanti da anni. In via Panama, infatti, all’altezza di largo del Bangladesh, a inizi Novecento c’era un chiosco in legno. Che negli anni si era trasformato fino a diventare, nel 2002, «un nuovo manufatto di circa 90 metri quadri con struttura in ferro, tamponato lateralmente con infissi in ferro e vetri e copertura di tetto a più falde», come stabiliva la convenzione stipulata con il Comune di Roma, proprietario del terreno. In realtà il Panamino oggi è una struttura di centinaia di metri quadri, che si è allargata a spese del parco che lo ospita, parco Rabin, l’area per cani di Villa Ada.
Altroché 90 metri quadri insomma (che già erano troppi): zone gazebo, una struttura ristorante, una zona “salotto”, servizi igienici. Il tutto a spese di un’area «di notevole interesse pubblico». Nel 2012 il Comune intima la demolizione delle parti abusive. In quello stesso anno le due società che gestiscono il bar presentano ricorso al Tar sostenendo di avere i “titoli edilizi”. E questi titoli, secondo le due società Eolie e Panamino, erano costituiti dal fatto di «essere incaricati della gestione del chiosco-bar e della manutenzione del limitrofo parco per conto dell’ente comunale». Il 29 gennaio 2015 il Tar respinge la richiesta, argomentando che in realtà, dai documenti, di permessi edilizi non ne risulta alcuno.
Il Consiglio di Stato ha dunque dato ragione al Tar, stabilendo che non esiste «alcuna disposizione normativa che esoneri un soggetto privato che intenda, su un suolo ottenuto in concessione, eseguire opere edilizie dall’acquisizione del titolo edilizio». Infatti «ogni trasformazione edilizia del territorio necessita di essere previamente autorizzata dall’amministrazione comunale». Il consiglio di Stato ha anche rigettato altre argomentazioni che comproverebbero come il comune “sapesse” e così sapendo di fatto “approvasse”. Per esempio quella relativa al fatto che «le società appellanti siano rimaste affidatarie dei servizi di pulizia e manutenzione del parco Rabin non può assumere valenza sostitutiva del titolo edilizio» come voleva Panamino.
Oggi, dunque, l’ordinanza con cui il 15 aprile 2015 il Consiglio di Stato, in attesa del proprio pronunciamento, aveva bloccato la demolizione non ha più valore. E quelle costruzioni abusive che per Roma Capitale, oltre a rendere l’area in cui sorgono pericolosa, restano loro stesse pericolose perché prive «dei collaudi e delle garanzie di sicurezza di legge», dovranno essere abbattute.
L’avvocatura comunale che si è prodigata nella difesa degli atti del municipio, ha già trasmesso la sentenza per far eseguire l’ordine di demolizione. «C’è da augurarsi — spiegano — che ora non si accampi la scusa che non ci sono soldi per ripristinare la legalità violata».
Fonte: Repubblica