Da sempre è l’obelisco della discordia e la scoperta che ‘nasconde’ un messaggio di Mussolini ai posteri è destinata a inasprire la polemica al calor bianco che circonda il colosso da 300 tonnellate eretto di fronte al Foro italico. Due studiosi, Bettina Reitz-Joosse dell’università di Groninga e Han Lamers dell’università di Lovanio sono stati i primi a studiare nel dettaglio e a tradurre il cosiddetto ‘Codex Fori Mussolini’. Anche se il messaggio resta sepolto e invisibile sotto i blocchi di granito tirati su nel 1932, i due sono riusciti a ricostruirlo attraverso tre diverse fonti emerse nelle biblioteche e negli archivi della Capitale. “Non era un messaggio pensato per i contemporanei” ha detto Reitz-Joosse alla Bbc, “Anche se l’obelisco doveva essere il più visibile possibile, non v’era quasi traccia dell’esistenza del testo, destinato ai lettori del futuro”.
A scrivere in latino quello che è a tutti gli effetti un peana del dittatore fascista fu Aurelio Giuseppe Amatucci, studioso di letteratura latina cristiana e titolare della cattedra di letteratura latina alla Cattolica di Milano. Si compone di tre parti: nella prima si rende conto della genesi e dei traguardi raggiunti dal fascismo e della ascesa di Mussolini. L’Italia viene descritta come un Paese sull’orlo del baratro dopo la Prima Guerra Mondiale e di come il Duce l’avesse salvata “rigenerandola grazie alla sua risolutezza e alle sue intuizioni superomistiche”.
Mussolini, dice Lamers, viene presentato come un nuovo imperatore romano, ma anche come l’uomo della Provvidenza mandato a salvare il popolo italiano. La seconda parte riguarda l’Organizzazione della gioventù fascista e i programmi per i giovani. La terza parte racconta la costruzione del Foro Italico – all’epoca noto come Foro Mussolini – e l’erezione dell’obelisco. Sotto l’obelisco sono sepolte alcune monete d’oro, come in uso durante il Rinascimento.
La curiosità, sottolineano gli studiosi, è che il messaggio era stato pensato per essere letto dopo l’abbattimento dell’obelisco e di conseguenza dopo la caduta del regime, segno che i fascisti stessi erano consapevoli del fatto che prima o poi sarebbero andati incontro al tramonto. A guerra quasi finita un gruppo di partigiani accarezzò l’idea di tirare giù il colosso e piazzò alla sua base una carica di esplosivo. L’arrivo di un vigilante in bicicletta, però, li costrinse a spegnere di corsa la miccia: nessuno aveva voglia di provocare vittime innocenti.
Fonte: Repubblica