C’è il negozio di delicatessen – Franchi – con le cucine dai pavimenti così unti da sembrare un’ officina (ma la pagnotta caduta sarà buttata o riciclata?). E c’è il ristorante con le tovaglie a quadretti – Osteria Coppelle – dove gli insetti, oltre a popolare le cucine, s’infilano anche nel registratore di cassa. Al punto che, durante un controllo degli ispettori della Asl Roma A, si è assistito all’estrazione dell’intruso dal portello dello scontrino. C’è l’ etnico giapponese assai di moda – Oishi Sushi – con le feci di roditore nell’area di preparazione dei pasti e in magazzino. E c’è la cornetteria storica – uscita metro di via Barletta – senza cappe ma con blatte (e se una precipitasse nell’impasto?). Casi estremi che rischiano di gettare ombre sulla categoria. Ma anche segnali da cogliere in una città che vive di eventi e flussi turistici.
I dati raccolti dai carabinieri del Nas durante l’anno giubilare, fra novembre 2015 e ottobre 2016, raccontano una realtà alquanto crepuscolare. I nomi appena elencati rappresentano un caso. Un caso superato con la chiusura del locale prima e il ritorno alla regola poi, ma comunque un pessimo esempio. In estrema sintesi i controlli hanno evidenziato che un ristorante su due ha qualche irregolarità e uno su quattro rischia la chiusura per motivi igienici. Complessivamente sono state fatte 521 multe per un valore di 658mila euro. Sequestri per un valore di circa 20mila euro fra olio (2.750 litri confiscati) prodotti a base di carne (2.300 kg) e pesce (1.430 kg). Su 727 locali ispezionati, essenzialmente nell’area del centro storico, solo il 51 per cento era completamente in regola, mentre per il 49 per cento (ossia in 357 casi) l’ispezione ha dato «esiti non conformi».
Le violazioni
Trecentoventiquattro titolari sono stati denunciati alla Asl, mentre per trentatrè è scattata l’indagine penale: il locale violava le leggi sulla sicurezza nel lavoro oppure gli alimenti erano in cattivo stato di conservazione e perfino adulterati. La notizia buona è che tutti quelli pizzicati si sono messi rapidamente in regola. Quella cattiva è che anche le nuove leve giocano a rimpiattino con la normativa e incrociano le dita sperando che nessuno li stani. All’interno di quel 49% che abbiamo visto c’è di tutto un po’: dal locale che tiene i disinfettanti accanto ai fermenti lattici a quello con gli insetti sui prosciutti. Fra grandi marchi della ristorazione piegati ai numeri industriali del grande viavai turistico e nuove leve zavorrate dall’imperativo del contenimento dei costi – magari sacrificando pulizia, sicurezza e decoro – l’offerta romana rischia la multa o l’oblio.
Il meccanismo di autotutela
Esistono però meccanismi di autotutela (Haccp) e cioè: io ristoratore mi sottopongo una tantum al controllo esterno di un ente certificatore, una sorta di consulente che supervisiona il luogo di lavoro, i magazzini di stoccaggio della merce, gli spazi per la clientela e mi adeguo: divido le posate dai detersivi, sbrino i freezer puntualmente, tengo le tovaglie al riparo dalla polvere, pulisco i pavimenti con regolarità. Ecco però che un 25% di quei 324 locali risultati non conformi non si è adeguato affatto. E allora forse tra quel 25% non si troveranno addirittura gli scarafaggi ma la qualità sarà ugualmente a rischio.
I menu’
C’è poi la vecchia storia dei menù. Dove il tonno è sempre catturato in Sicilia e la triglia è sempre pescata in Toscana. Qui stando alle verifiche degli esperti il giochetto è frequente e spesso si accoppia con la mancata tracciabilità degli alimenti, riscontrata nel 15% dei casi. Fra i sanzionati anche Gusto, la Terrazza Barberini e la Fiorentina. Ma tanta approssimazione ha contagiato anche i colossi del fast food se, com’è accaduto lo scorso aprile, gli ispettori hanno dovuto chiudere anche il Chicken Hut di via Prenestina: le blatte avevano raggiunto le derrate alimentari.
Fonte: Corriere della Sera