E’ dal 753 a.C. che a Roma è tutta una questione di sensibilità, sensibilità nei confronti del potere durante l’espansione, verso la civiltà durante l’Impero Romano. Sensibilità per la bellezza durante il rinascimento, per la mondanità durante la Dolce Vita.
Se pensiamo al giorno d’oggi la sensibilità si è un po’ appiattita, è rimasta solo per quei sentimenti primordiali e profondi. Uno di questi è sicuramente il gusto, il mangiare e il bere bene, bisogno primario per tutti i romani.
In questi anni infatti a Roma sono cresciute delle correnti alternative che hanno rivoluzionato l’approccio dei romani al bere e al mangiare.
Fino a qualche anno fa trovavi solo carbonare con l’uovo di una settimana prima comprato alla Metro, con l’oste di turno che ci marciava e lo riempiva di pepe e pecorino e te lo portava al piatto con il famoso “pollice dentro”. Adesso ci sono ancora le osterie “sincere”, ma ne sono nate anche di “contemporanee” con la carbonara non più a 7 euro ma a 12, ma fatta come un’opera d’arte, con uova biologiche, guanciale da allevamenti sostenibili, pecorino artigianale, pepe di paesi orientali. A tutti gli effetti progresso, evoluzione della tradizione.
Di evoluzione possiamo parlare anche quando raccontiamo delle birre artigianali, se davvero “fino all’altro ieri” la massima ambizione era una Tennent’s Super, da dieci anni a Roma la cultura della birra è esplosa, ci sono beershop ovunque, ristoranti aperti da birrifici e anche produzioni chilometro 0, pensiamo su tutte al birrificio Jungle Juice al mandrione e Ritual Lab a Roma Nord (precisamente a Formello) che addirittura hanno gli stabilimenti dentro Roma.
Per non parlare dei vini naturali, altro tassello importante del percorso di Roma nella sensibilità gustativa, proliferano vini naturali nelle carte dei vini dei ristoranti e addirittura enoteche e locali che servono solo vini naturali.
Un altro fenomeno che si sta sviluppando in questi anni e di cui Roma è tra le città di pionieri d’Italia è il caffè specialty. Letteralmente: caffè selezionati già in piantagione, in base ad una serie di parametri qualitativi e di sostenibilità sociale e ambientale, che rendono la bevanda priva di difetti agricoli, politici e organolettici.
Pe’ capisse, non il solito caffè che si prende al volo la mattina al bar o, ancora peggio, quello in cialde che si prende a casa. Il caffè specialty è un prodotto che ha un racconto dietro. Non solo di gusto, di qualità e di filiera ma anche di forte identità e di rispetto del territorio. Chi coltiva caffè convenzionale ha una situazione agricola molto svantaggiosa, lo specialty è nemico del consumismo.
Non dipende dalla borsa di Londra o New York, va di qualità e non di quantità, per dirsi specialty dev’essere con meno di tre difetti per chilo, meno di 3 chicchi difettosi su 5 mila. Il tutto raccolto a mano, scegliendo solo i frutti nel loro migliore momento di maturazione, e non in maniera intensiva con macchinari.
Per farvi capire la differenza di sapore, tra il caffè normale e il caffè specialty c’è la stessa differenza che c’è tra una birra del discount e una birra artigianale, o tra un vino da cucina e un ottimo vino naturale. Se non l’avete provato, fatelo.
Naturalmente anche il prezzo è più alto, ed è giusto così. Stiamo parlando di un prodotto, il caffè specialty, che apre nuovi orizzonti di un rito quotidiano. Se al bar la mattina quando si chiede un caffè non si ha nessuna informazione della provenienza e di come sia lavorato, il caffè specialty, nelle sue varietà, ha sempre una storia da raccontare. Ancora prima che si noti la differenza mentre si beve.
Il caffè specialty non solo si paga di più, si aspetta di più, si approfondisce di più, si degusta di più, è indicato soprattutto a chi ha la sensibilità di non fermarsi alla superficie.
Anche per questo i locali che lo servono sono tutti particolari, non i soliti bar da caffè e cornetto ma luoghi con un concept dietro. A Roma questi posti sono Fax Factory, Barnum, Retrocaffè (progetto di Retro Bottega) e Faro. In particolare vogliamo parlare di Faro, a piazza Fiume, dove noi abbiamo scoperto l’esistenza del caffè specialty.
Faro è un orgoglio romano del settore, conosciuto e riconosciuto in tutta Italia (nel 2020 vince il premio come Miglior Bar D’Italia dalla rivista di settore BarGiornale). Un “bistrot” con alla base la grande cultura del caffè e intorno un locale fico stile nord Europa dove fare colazione e anche ottimi brunch e pranzi.
Faro è il tempio dello specialty coffee a Roma, ha anche la sua torrefazione che si chiama Aliena, nel cuore di Roma, a Montesacro.
Faro e Aliena sono due posti della stessa famiglia, che stanno avendo il merito di “educare” Roma alla cultura del caffè specialty. Abbiamo mandato qualche vocale a Dario Fociani, che insieme a Dafne Spadavecchia e Arturo Felicetta, è il proprietario di entrambe, per chiedere un paio di cose sul fenomeno caffè specialty a Roma.
“Ogni giorno più romani si convertono al caffè specialty abbandonando il caffè convenzionale. Anche andando oltre il prezzo. Qualche mese fa è entrato da Faro un signore, un vero romano di quelli ruspanti, sinceri e sempre con la battuta pronta. Non sapendo che non servivamo il caffè normale arriva al banco e chiede un caffè. Io gli dico “ne abbiamo tanti, tutti specialty, il più classico è un brasile”. Quando gli dico che costava un euro e cinquanta mi guarda e un po’ ridendo, un po’ sul serio, mi fa “Uno e cinquanta? Se non è bono te metto la tazzina per cappello”. Adesso viene tutti i giorni e prende il doppio, quello che noi chiamiamo Completo, che ti permette di assaporare ancora di più il gusto.
“Un Completo, per motivi di estrazione è sempre migliore di un espresso singolo, anche al bar quando prendiamo un caffè convenzionale, se ce lo estraggono da un portafiltro doppio (perché il barista ne deve fare due e non solo il nostro) il caffè viene sempre meglio, per questo (e anche perché lo Specialty ha molta meno caffeina) noi consigliamo sempre di prendere un Completo, anche perché dopo un po’ ci si rende conto che è il singolo espresso che conosciamo tutti noi a essere una ‘metà’ e il doppio a essere l’unità, si fanno più sorsi, si capisce meglio la bevanda, si fa un’esperienza completa appunto.”.
Una passione, quella di Dario, che è quasi un destino, lo capiamo quando ci racconta questa storia. “Mia madre, incredibile ma vero, è iper sensibile alla caffeina. Beve solo decaffeinato. L’unico momento in cui ha potuto bere caffè è stato quando è stata incinta di me. Una storia che racconta sempre!”. Ecco, se non siete intolleranti alla caffeina come la mamma di Dario, fidatevi e fiondatevi da Faro pronti per entrare in nuovo mondo, fatto di complessità, qualità ed etica agricola e sociale.