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Il mistero del “camerino della morte” di via del Corso

Photo credit: https://www.youtube.com/watch?v=SdS15vKWsHo

Di Flavia De Michetti – Via del Corso, tappa fissa per gli amanti dello shopping e delle passeggiate nel cuore del centro storico della Capitale, è stata protagonista nella cronaca nera nella Roma degli anni Ottanta.

Secondo la leggenda metropolitana, a quei tempi nell’ex via Lata si trovava Babilonia, una boutique molto frequentata, in particolare, da una clientela femminile che, una volta entrata nei camerini veniva inghiottita da una botola che si apriva all’improvviso sotto i loro i piedi. 

Narcotizzate, legate e imbavagliate le sfortunate di turno erano pronte per il traffico criminale conosciuto sotto il nome di “tratta delle bianche”, per lo sfruttamento sessuale, contrabbando di organi, lavoro forzato o “nel migliore dei casi” a facoltosi harem di ricchi uomini arabi. Il racconto di quanto accaduto nei cosiddetti “camerini della morte” non ha riguardato solo la città di Roma, ma anche molte altre parti del mondo e diverse sono state le versioni tramandate negli anni.

A ogni modo, i negozianti romani non sono stati scoraggiati dai terribili fatti di cronaca nera, facendone anzi un vero e proprio punto di forza per l’incremento delle loro vendite. I commercianti, dando libero sfogo a tutta la loro creatività, avevano preso l’abitudine di allestire le vetrine dei loro esercizi esponendo, ad esempio, manichini imbavagliati, che uscivano fuori da una botola con delle armi in mano, e molte altre composizioni. 

Un sistema, questo, che si è rivelato paradossalmente produttivo. In che modo? Semplicemente basandosi su una sorta di psicologia inversa e cavalcando l’onda della morbosa curiosità che si era andata a creare intorno ai misteriosi episodi, in particolare tra i più giovani. I genitori, infatti, informati sugli accadimenti e vedendo le macabre vetrine allestite, vietavano alle figlie di recarsi e fare acquisti in quei negozi. Tuttavia, per la ribellione che è nella natura stessa della fase adolescenziale dei ragazzi, le teenager facevano esattamente il contrario.

“Tre anni fa ci siamo divertiti a prendere in giro la nostra clientela. Girava la voce che dentro ad alcuni negozi di abbigliamento di Roma veniva effettuata la tratta delle bianche. Le ragazze che entravano non uscivano più dal negozio – ha raccontato ai giornalisti Massimo Di Porto, responsabile di Babilonia – La storia si è concretizzata quando, un giorno, abbiamo fatto una vetrina orientale con un manichino che usciva fuori dalla botola e un arabo con un’ascia in mano. Le mamme delle ragazze non volevano mandare le loro figlie a comprare nel nostro negozio. E proprio per questo, invece, loro hanno reagito al contrario. La curiosità le ha fatte entrare di più e le ha fatte comprare di più. Tuttora, i nostri clienti ci domandano se era vero o no che c’è stata la tratta delle bianche. Qui è una cosa che non è mai avvenuta”. 

Nonostante queste parole, nel corso di una trasmissione della Rai sulle leggende metropolitane, qualcuno ha telefonato in diretta per sostenere che le voci sul Babilonia fossero vere, vantando una parentela con un certo maresciallo, di cui però il nome non si conosce, che sarebbe stato incaricato di indagare sulle sparizioni nella boutique. 

Molti commercianti hanno sospettato che le voci sul Babilonia fossero state inventate probabilmente per alimentare una qualche forma xenofobia: un dubbio che nasceva anche dalle origini dei manichini provocatori, ad esempio vestiti alla maniera araba. In ogni caso, i racconti non erano mai uguali, ma diversi in base al luogo in cui le storie venivano raccontate: ad esempio, secondo le leggende, molte donne giapponesi sarebbero state ritrovate mutilate e in fin di vita nelle Filippine, Paese nemico della Nazione insulare in molte occasioni.

Si parla di leggende metropolitane o di storie vere? Ancora oggi rimane un mistero.

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