Di Francesco Cianfarani – Stamattina mi sono svegliato e ho sentito accanto a me nel letto la mia compagna piangere, sentendola singhiozzare di sobbalzo le ho chiesto: “Che è successo?”, pensando che fosse accaduto qualcosa di brutto a nostri cari o amici, e lei mi ha risposto: “E’ morto Gigi Proietti”.
Sapevamo che soffriva di cuore, ieri sera abbiamo letto i giornali che annunciavano del suo ricovero e usavano espressioni come “situazione critica” e “condizioni gravissime”. Ma, come si dice spesso a Roma, “nun ce volevamo pensa’”.
Non ci volevamo pensare che succedesse, che arrivasse uno di quei momenti che speri non arrivino mai. L’addio a quelle persone che hanno scandito i momenti della tua vita e i momenti di intere generazioni, influenzando comportamenti, battute, gesti, modi di dire. Le uniche persone così inarrivabili da averti fatto emozionare come fanno le persone importanti, pur non avendole mai conosciute.
Gigi Proietti era così, uno di quei personaggi la cui morte non rappresenta solo la fine della vita di una persona, ma la fine di un periodo della vita di molte persone, di un’intera epoca. I pochissimi personaggi che sono miti quando sono ancora in vita, immortali, inarrivabili, un’Olimpo fatto di persone amate e stimate da tutti, che non hanno detrattori e che sono indiscutibili, come Alberto Sordi, De André, Totò e, appunto, Gigi Proietti. Quelli che non chiami col loro nome, li chiami “Maestro”.
Non se n’è andato giovane Gigi Proietti, ma il suo saluto è doloroso come se fosse stato un bambino. E ancora più doloroso per noi romani, che ormai siamo rimasti con poche icone della nostra città, del nostro popolo e del nostro modo di essere. “Un volto che rassicurava che l’identità di questa città ancora vive” lo ha definito poco fa Carlo Verdone, un altro dei pochi immortali, tra gli ultimi a renderci fieri di Roma insieme a Gigi Proietti.
Qualche anno fa andammo a vedere il suo Shakespeare al Globe Theatre di Villa Borghese, noi che non siamo appassionati di teatro rimanemmo a bocca aperta, un tripudio dall’inizio alla fine, una presenza scenica maestosa, un mattatore che non stava mai fermo un attimo, e tutto questo a 77 anni. Il palco era il suo habitat naturale, d’altra parte ora lo possiamo dire, Gigi Proietti è stato uno dei più grandi attori teatrali della storia italiana.
L’anno scorso lo incrociammo per caso in ospedale, a Tor Vergata. In una situazione per noi tristissima, lui era lì per andare a trovare un nipote ricoverato, si aggirava per il policlinico come un normale parente in cerca della stanza, semplice, sobrio, normale. Come un grande artista, come un grande romano. Non gli dicemmo niente per non essere indelicati verso la situazione, ma lui ci fece un sorriso che per un attimo ci fece scordare di tutto, come se ce l’avesse mandato qualcuno.
Di questo e di tutto il resto lo ringraziamo: per averci fatto ridere ed emozionare, da Mandrake al Cavaliere Nero fino a Shakespeare, per esserci stato da esempio, sempre elegante e mai sopra le righe, per averci ricordato come si è romani e reso orgogliosi di esserlo. Grazie di tutto Maestro.