È il 1974, in America continua lo scandalo Watergate, in Italia Gianni Agnelli diventa presidente di Confindustria e nasce il IV governo Moro. A Roma, in pieno centro, apre un ristorante che viene visto un po’ male, un posto un po’ strano, un ristorante di pesce che non cuoce il pesce, anzi lo mette insieme a un particolare riso. È Hamasei, la filiale italiana di un ristorante di Tokyo, il primo ristorante di sushi a Roma.
Quelli del centro lo guardavano con aria sorpresa, all’epoca viaggiare non era così facile come oggi, pochissimi erano andati a Tokyo, pochissimi conoscevano la tradizione culinaria giapponese. Gli abitanti della zona, che 50 anni fa non erano solo gli snob di oggi ma anche le famiglie popolari romane vere, ne parlavano sottovoce quando ci passavano davanti, additandolo come un ristorante eccentrico e bislacco, che sarebbe durato poco in mezzo alle trattorie romane del centro storico.
Dopo 47 anni Hamasei è ancora lì, avendo dato vita alla cultura, più che moda, del sushi a Roma. Ha fatto da apripista di un mondo che continua a crescere, e che è arrivato fino agli all you can eat degli ultimi anni. Dopo un fenomeno così, non si pensava potesse esserci un’altra incursione culturale culinaria così prepotente, e invece è successo di nuovo.
C’è sempre il pesce crudo, c’è sempre il riso, e viene dalle Hawaii. E’ una sorta di sushi scomposto con il riso sotto e sopra pesce crudo e altri condimenti. Si mangia nelle ormai famose bowl. Roma è letteralmente impazzita per il pokè, ormai a Roma aprono i pokè come i compro oro durante la crisi, o come i negozi di sigarette elettroniche quando esplosero.
Il pokè nasce come piatto povero dei pescatori hawaiani di Honolulu, con il pesce appena pescato abbinato al riso e qualche verdura. Abbiamo voluto fare una ricerca per capire quanto Roma è “andata sotto” al pokè anche rispetto al luogo dove il pokè è nato.
Su Tripadvisor infatti esistono più ristoranti che fanno pokè a Roma rispetto a quanti lo fanno ad Honolulu. 35 contro 23. Incredibile. E’ come se a Dallas ci fossero più pizzerie che a Napoli.
Uno dei brand che ha riempito Roma con i suoi ottimi pokè è senz’altro Palmerie Pokè, lo spin off del celebre locale dei Parioli Palmerie, tempio di Roma Nord e dell’abbinamento sushi-cocktail. Da lì è nata la catena Palmerie Pokè, ormai presente in tutta Roma con il suo pokè, ma anche con i suoi bagel e le sue tartare.
Tutto è cominciato con la “conquista” di San Lorenzo, quartiere difficile abituato più ai kebab che al pesce crudo, per poi proseguire con la bandierina a Nuovo Salario, accanto all’Università Pontificia Salesiana. Il pokè di Palmerie si può mangiare anche all’interno del Maxxi, con la presenza dentro Mediterraneo. Ma si può mangiare anche davanti a quello che è stato decretato essere uno dei mari più puliti del Lazio, quello di Ostia.
Adesso le ultime due aperture, la prima nel quartiere più milanese di tutta Roma: Prati. Che dopo tutti quelli che ha aperto in giro per Roma era contronatura che non ci fosse. La seconda apertura esattamente agli antipodi, non solo geograficamente ma anche culturalmente, a Marconi, il 4 ottobre. Diavolo e acqua Santa. Questo dimostra che la passione per il pokè non ha confini, le bowl si mangiano davanti al Colosseo Quadrato ma anche davanti a Ponte Milvio, a Roma Nord e a Roma Sud, in monopattino e in Smart, e quasi sempre sono di Palmerie Pokè.