Anno 2011, college estivo paracattolico vicino Londra, un’orda di adolescenti italiani e spagnoli inferociti, sponsorizzati dai genitori altoborghesi con tre obiettivi: “fare esperienza”, imparare l’inglese, conoscere futuri professionisti internazionali. Ma in realtà erano lì con questi tre obiettivi: trombare, bere, drogarsi.
I “futuri professionisti internazionali” erano tutti figli di papà spagnoli, del nord Italia e qualcuno di qualche paese del Benelux (è dalle elementari che volevo usare Benelux). Peccato che erano tutti nella stessa fase adolescenziale in cui sei consapevole di essere ricco e di poter fare il cazzo che ti pare almeno fino a 25 anni. Quando di notte sei fratello di sangue con chiunque, dopo due giorni non ti ricordi di nessuno, e per questo “i futuri professionisti internazionali” non li avresti mai risentiti in vita tua.
I boss della droga del college, due spagnoli ovviamente, andavano in giro con due magliette da basket con dietro i seguenti nomi: Lucifero, Belzebù. Erano i re delle scene alla “Che ne sarà di noi” sul tetto del college con birre in lattina e canne di erba homemade.
Proprio da loro partì la voce che cambiò la vacanza a tutti, nei sexy shop di quel paesino vicino Londra vendevano il popper. La maggior parte neanche sapevano cosa fosse, ma dopo una rapida googlata c’era un coro all’unisono: “me too”.
Arriva il giorno della gita. Parte la colletta. Mentre gli avamposti andavano in missione dentro il sexy shop prescelto, lì fuori l’effetto euforico del popper era già nell’aria, iniziavano le dicerie “è quello che usano i gay”, “dura pochi secondi, “è l’unica droga legale”.
Belzebù e Lucifero escono vincitori, si ha fretta di tornare in stanza per provare, i più piccoli e deboli fanno un tiretto giusto per dire di averlo provato, i più grandi e machi ne fanno uno forte da ogni narice, i re spagnoli due da ogni narice. E’ lì che c’è la scena che non ci dimenticheremo mai, un ragazzino, di Roma Nord, arriva e, senza neanche annunciarlo, fa 10 tiri da una narice e dieci dall’altra.
Chissà se quel ragazzo oggi leggerà questo articolo e si farà una risata. Leggendo che, dopo più di 10 anni, a Roma puoi ordinare popper a domicilio. Manco fosse sushi. E che ancora “è legale”, come si vociferava fuori da quel sexy shop. O forse lo avrà già ordinato, per fare un tuffo nel passato. Senza colletta di 5 sterle, ma pagando su un’app con la sua carta di credito della stessa banca del padre.
In mezz’ora ce l’ha nel suo terzo piano a Cortina d’Ampezzo, dove vive con compagna e figlia di un anno. Per concedersi una ventina di secondi di evasione totale, perché è lontana l’epoca dei 10 tiri a narice. Sarebbe stata ancora più lontana se un suo amico di Milano non gli avesse mandato una foto di un cartellone pubblicitario con scritto “JustMary, il primo delivery di cannabis light a Milano” e aggiungendo “c’è pure a Roma, e portano anche il popper”. A “pop” aveva già scaricato l’app e stava già facendo l’ordine.