“Vita Spericolata” non è solamente una delle canzoni più belle di Vasco Rossi, ma è anche un simbolo, un’idea, e la filosofia del cantante di Zocca. Un mantra che è passato di generazione in generazione. E allora è stata molto fortunata la giornalista Marinella Venegoni che su La Stampa ha raccolto una intervista che si può definire già “cult”, nella quale il cantante racconta per la prima volta come è nata questa canzone e soprattutto cosa voleva trasmettere.
Vasco racconta…
“Nell’83 erano cinque anni che lavoravo ma senza casa, senza un disco. Facevo solo concerti, vivevamo on the road. Avevo tagliato i ponti con tutti, ero collassato in mezzo a un oceano, non vedevo la riva né da una parte né dall’altra. Avevo già scritto Albachiara, Siamo solo noi, Fegato spappolato. Il provocatore era già nato, sconsigliato da tutta la stampa, avvertivano che poteva trasmettere il virus della droga. Avevo colpito a Sanremo con Vado al Massimo nell’82, il patron Ravera che mi aveva voluto, mi aveva detto: “Devi farti vedere, torna come vuoi”
“Mi dicevo: non posso tornare a fare il matto. A un certo punto Guido Elmi (autore degli egregi arrangiamenti metallici di questo tour, ndr) mi porta uno che suonava il basso a Bologna, in un gruppo rock. A Bologna facevano tutti rock, e mi dicevano che ero commerciale perché avevo scritto Albachiara. Comunque è venuto con un nastrino, Tullio Ferro: era bellissima, la musica. Sono trasalito, e ho cominciato a collaborare”.
“L’ho ascoltata per mesi, non mi veniva mai una cosa giusta. Poi un giorno che eravamo a suonare in Sardegna, si è messo a piovere. Sono salito in macchina e ho messo il nastro. E ho pensato: “Voglio una vita…”
“Nel senso del non educata secondo i vostri parametri, avevo tutti gli Anni Settanta alle spalle, quando la maggioranza voleva fare la rivoluzione ma con il lavoro in banca. Io no, ho avuto la possibilità e ho detto di no alla banca. Figurarsi i miei…”
“Nel senso di vivere pericolosamente, alla Nietzsche che diceva: “Dall’esistenza la fecondità più grande e il diletto più grande è vivere pericolosamente. Costruite le vostre città sulle pendici del Vesuvio”
“Una vita non garantita, non con il lavoro sicuro come si aveva allora. Lo dico per i giovani di adesso”
“Ero sempre sveglissimo, sapevo dove volevo e dove non volevo andare. Scrivevo canzoni che raccontavano ciò che vedevo. Non è che la realtà mi piacesse, ma la canto lo stesso”
“Nei film non ci sono mai parti monotone della giornata, solo quelle essenziali”
“Era il mito della mia generazione, nel film La grande fuga saltava i reticolati con la moto. Bello, dannato e spericolato. Steve McQueen sì, James Dean no. Con McQueen c’era solo il piacere, non le macerazioni di James Dean. Mi proposero di tradurre Vita spericolata in tedesco, e invece di McQueen ci misero Errol Flynn. Figurarsi, non diedi il permesso. Niente traduzione”
“Quando è venuta, ho pensato che era quella giusta: “Ora vado da Ravera e la canto”. Per me era tutto finito, avevo spinto molto l’acceleratore. E da lì in poi, con il successo, sono stato messo in croce. Ho vissuto i 22 giorni di galera come la crocifissione, sono stato due/tre anni senza scrivere”. Ma quanto tempo ha lavorato, alla canzone? “33 anni. Quelli che avevo quando l’ho scritta”.