Di Ettore Ronconi – Tutto inizia con l’occupazione tedesca di Roma, nel settembre del 1943, quando la capitale viene dichiarata “città aperta” e cioè ceduta alle forze nemiche senza combattimenti per evitare la distruzione. I tedeschi quindi non incontrano resistenza e il “capo” di Roma diventa l’ufficiale delle SS Herbert Kappler. In città si formarono vari gruppi di resistenza armata, quasi tutti però vennero presto sgominati con arresti e uccisioni dalla campagna del terrore avviata da Kappler.
Gli unici a resistere e a rimanere efficienti furono i GAP, Gruppi d’Azione Patriottica, formati da partigiani e nati su iniziativa del Partito Comunista Italiano. I GAP decidono di fare un attentato, a suggeriglielo è Giorgio Amendola, un comunista che si iscrisse al PCI dopo che il padre fu ucciso a Cannes dalle squadre fasciste. Amendola vedeva passare un reggimento tedesco ogni giorno alla stessa ora in via Rasella. Il reggimento era l’11° compagnia del reggimento “Bozen” dell’esercito tedesco.
I GAP scelsero il 23 marzo come giorno, anniversario della fondazione dei fasci di combattimento. Quel pomeriggio 12 partigiani fecero esplodere una bomba in un carrettino della spazzatura e lanciarono diverse bombe a mano contro i militari tedeschi di passaggio. Morirono 33 soldati germanici (altri 9 nei giorni successivi) e due civili italiani, la rabbia nazista fu incontenibile. Il comandante Malzer, appena arrivato sul posto, dichiarò immediatamente di voler procedere “alla vendetta per i miei poveri kameraten”. Appena la notizia arrivò a Hitler, il Fuhrer parlo di “uccidere 50 italiani per ogni soldato tedesco morto”. Alla fine si decise di procedere alla rappresaglia di dieci contro uno con “esecuzione immediata”. I condannati a morte erano scelti tra i Todeskandidaten coloro che erano già condannati a morte o all’ergastolo e quelli che avevano compiuto reati passibili di condanna a morte. Le donne erano escluse dalla rappresaglia.
In 24 ore i tedeschi trovarono 330 persone da uccidere, tra ebrei, partigiani, antifascisti e semplici detenuti. Nessuna delle vittime sapeva a cosa stava andando incontro, vennero trasportati su dei camion dentro delle cave sulla via Ardeatina, luogo scelto per compiere l’eccidio in segretezza. Il 24 marzo 1944 alle 15:30 iniziarono le fucilazioni, un colpo di pistola dietro il collo per ottenere la morte immediata, 335 persone furono uccise, cinque in più del previsto per un errore di calcolo dovuto alla confusione. Le entrate della cava furono fatte esplodere per impedire che fosse violata la segretezza della rappresaglia.
La sera stessa l’Alto Comando tedesco comunicò ufficialmente di aver fucilato dieci “comunisti-badogliani” per ogni tedesco ucciso nell’attentato di via Rasella. Le reazioni furono di sgomento e impotenza. Nel dopo guerra Kappler, Priebke e Kesselring, mandanti e artefici dell’eccidio furono processati e condannati. Adesso dove 70 anni fa avvenne il peggior eccidio della storia italiana c’è un monumento che ricorda i 335 caduti.